Preservare la risorsa idrica innovando i criteri di gestione

Le risorse planetarie non sono inesauribili, lo sappiamo da sempre ma facciamo finta di non averne conoscenza fino a quando siamo costretti a fare i conti con le emergenze. Questa annata caldissima, sta evidenziando quanto critico sia lo stato di conservazione della risorsa idrica e occorre mettere in campo delle azioni quotidiane per prevenire, anche in prospettiva, un calo di disponibilità della stessa. Ho letto nei giorni scorsi l’intervista di un bravo glaciologo rodigino, Franco Secchieri, che evidenziava come la desertificazione dei ghiacciai non autorizza ad essere ottimisti anche per il futuro del Po, la fondamentale arteria di vita della pianura padana. Non bisogna sottovalutare queste indicazioni. 

Gli antichi romani costruirono acquedotti che sono ancora in piedi a duemila anni di distanza e, nella vita di tutti i giorni, erano soliti favorire l’accumulo d’acqua mettendo in campo una vera e propria cultura della risorsa idrica cosa che forse, favoriti anche da una larga disponibilità a bassissimo costo, noi in Italia non abbiamo più. Ed è un problema non da poco che emerge oggi in tutta la sua gravità. 

Occorre senza dubbio favorire nuove iniziative finalizzate all’accumulo e al riuso consapevole dell’acqua: costruire invasi per il recupero dell’acqua piovana che possa essere utili ai fini irrigui, favorire impianti domestici finalizzati al riciclo per le modalità possibili, incentivare, anziché la rete acquedottistica, l’utilizzo di risorsa da pozzi per l’irrigazione di orti, il lavaggio di piazzali, vetture ecc.

In questo, possiamo imparare molto anche dalle più avanzate nazioni europee, quelle che di acqua ne avevano già meno di noi e che sono state magistrali nello studiare formule di recupero e di riduzione degli sprechi. L’Università tecnica di Delft, ad esempio, nella quale ho seguito un ciclo di corsi proprio sul management dell’acqua, da anni propugna forme di economia circolare per l’acqua: il riuso delle acque reflue deve riguardare almeno un paio di aspetti principali. Il primo impone una ferma linea di difesa contro la scarsità della risorsa e consiste in una una strategia di gestione della domanda globale (a scopo idropotabile, irriguo, industriale ed energetico) che promuova stili di vita e processi produttivi sostenibili e crei incentivi concreti per il risparmio, la conservazione (contrastando la dispersione nelle reti di distribuzione) e la resilienza delle fonti e delle relative infrastrutture idriche di derivazione e trasporto. 

Un secondo aspetto concerne la valorizzazione e l’utilizzo di risorse idriche non convenzionali (prevalentemente acque reflue urbane depurate) che si traduce nel riutilizzo dell’acqua depurata, prevalentemente in agricoltura, e nel recupero sostenibile delle risorse materiali ed energetiche contenute nelle acque reflue, trasformando così i depuratori in impianti di bio-raffinazione che convertono sostanze di scarto in prodotti utili, quali biogas e biometano, fertilizzanti (azoto, fosforo), sostanze organiche (cellulosa, poliidrossialcanoati usati nella produzione di bioplastiche).

Come hanno evidenziato recentemente autorevoli studi, “in particolare, il riutilizzo delle acque reflue in agricoltura, cioè il settore che in Italia utilizza attualmente il 51% delle risorse idriche prelevate, rappresenta una delle maggiori sfide. Ai fini del riutilizzo delle acque reflue, l’attenzione deve essere posta alla prevenzione dell’inquinamento alla fonte attraverso il divieto o il controllo puntuale nell’uso di alcune sostanze contaminanti;  alla raccolta e trattamento delle acque reflue in modo efficace e diffuso; all’affinamento dei reflui e la loro distribuzione per farne una fonte alternativa di acqua, sicura ed economica, sia per l’irrigazione che per le industrie e per l’ambiente; alla possibilità di recuperare energia e materiali presenti nelle acque reflue urbane, quali nutrienti come il fosforo e prodotti chimici come biopolimeri o cellulosa, riutilizzabili nell’industria o nell’agricoltura. Ai fini di una gestione ottimale e valorizzazione delle acque reflue in termini di economia circolare, risultano di fondamentale importanza anche i processi di trattamento e le modalità di smaltimento e riutilizzo previste per i fanghi di depurazione, che vanno definiti in relazione alle loro caratteristiche e dell’ambito territoriale di riferimento. Una gestione sostenibile dei fanghi è di fondamentale importanza per limitare l’impatto ambientale derivante dalla loro crescente produzione e per perseguire i principi di economia circolare su scala sia regionale che nazionale”. 

Per favorire l’utilizzo di fonti alternative di acqua, di recente il Parlamento Europeo ha approvato il nuovo Regolamento sul riutilizzo delle acque reflue. Nei tre anni previsti per la sua effettiva entrata in vigore dovranno essere risolti importanti nodi strategici che interesseranno l’intera filiera idrica. Come detto, oltre al riutilizzo irriguo dell’acqua, l’economia circolare dell’acqua mira al recupero sostenibile delle risorse materiali ed energetiche contenute nelle acque reflue, contribuendo a ridurre le emissioni di gas serra e i consumi energetici dei depuratori esistenti.

C’è tanto lavoro da fare, è vero, ma è anche vero che non abbiamo più neanche un minuto da perdere.

Leonardo Raito 

Continuano gli interventi manutentivi sugli alloggi ERP

Lo stato dell’edilizia residenziale pubblica, per il Comune di Polesella, ha rappresentato una priorità che negli anni ha portato a moltissimi investimenti in manutenzioni per conservare un patrimonio datato. Nel biennio 2020-2021 l’Amministrazione Comunale ha stanziato, per interventi di straordinaria manutenzione, 49.211 euro cui si sommano interventi di manutenzione ordinaria e di gestione che, frutto della convenzione con ATER Rovigo, portano a quasi 30.000 euro annuali il fabbisogno gestionale e di intervento. Un’attenzione costante che il sindaco Leonardo Raito ritiene indispensabile:

stiamo parlando di un patrimonio immobiliare che ormai risale a svariate decine di anni fa. Abbiamo case degli anni cinquanta, sessanta, settanta, ottanta e le ultime che superano i vent’anni di vita e quindi necessitano di notevoli interventi manutentivi. Devo dire che in larga parte abbiamo inquilini consapevoli e con un profondo senso di rispetto per la casa in cui vivono, ma è chiaro che impianti datati vedono rotture, e necessitano spesso dell’intervento del Comune. 

Il sindaco di Polesella fu anche tra i protagonisti di una battaglia, a fianco degli inquilini, per una ridefinizione della legge regionale che rischiava di vedere messi alla porta inquilini storici, anziani, famiglie, persone che pagavano regolarmente i canoni e che vedevano a rischio un diritto consolidato nel tempo:

Gli alloggi residenziali pubblici rispondono a un preciso indirizzo di politica sociale e serve rispetto per lo stato dell’edilizia popolare. Credo che in un rapporto di collaborazione consapevole tra inquilini e proprietà possa stare una migliore prospettiva anche per la politica abitativa: i residenti sanno che pagano affitti calmierati rispetto al libero mercato e rispondono con una dovuta attenzione alla conservazione degli alloggi a questo diritto. 

Per il futuro l’Amministrazione ha le idee chiare:

Intendiamo proporre ad ATER la possibilità di un percorso in comune per la ricerca di fondi e forme di investimento che consentano di recuperare gli edifici attualmente chiusi o sfitti e puntiamo alla ricerca di finanziamenti per migliorare efficientamento energetico dei condomini e per aumentare la qualità degli alloggi. Stiamo vagliando delle proposte che potrebbero essere interessanti. 

Cronache di ordinaria degenerazione

L’esito del referendum, scontato o meno che fosse, ha rappresentato un ulteriore tassello della degenerazione della nostra democrazia. Se non è degenerazione, di sicuro è crisi. Che solo il 20% degli elettori italiani si rechi alle urne – ma attenzione, il dato è viziato al rialzo dal voto contemporaneo delle comunali – rappresenta un elemento di estrema preoccupazione che dovrebbe però obbligare anche i partiti a un profondo ripensamento delle proprie azioni. 

Nella fattispecie, mi sono confrontato con decine di persone su questi quesiti referendari e quasi tutti mi hanno detto che li ritenevano difficilissimi da capire. Il tema giustizia è un tema da specialisti. Un tema per cui i cittadini ritengono debba essere messo in campo un serio lavoro parlamentare. Delegare a loro la scelta è stata considerata uno scaricamento di responsabilità inaccettabile, uno scaricamento che va ascritto principalmente ai promotori (Lega, Radicali) che hanno voluto dare una valenza politica al referendum, a volte personalizzando la contesa (Salvini starà passando una brutta giornata), a volte lanciando un vero e proprio assalto alla magistratura, istituzione che forse gli italiani appezzano più di quanto si possa credere. 

Nell domenica di ordinaria degenerazione, poi, ha avuto dell’incredibile la conferenza stampa di Calderoli, con la maglietta del sì, che ha accusato la stampa e il sistema dell’informazione ritenendoli responsabili del fallimento del referendum. Da non credere. O Berlusconi con un filo di flebile voce raccontare la sua storia di statista e il suo disprezzo nei confronti di un sistema giustizia che lo ha preso di mira.

Nel corso della campagna elettorale, paradossali sono state alcune immagini, come quella dell’ex magistrato Nordio, uno di quelli che usò a lungo lo strumento della carcerazione preventiva, invitare gli italiani a votare si per mettere fine alla degenerazione della stessa carcerazione preventiva, e qui c’è da ripensare con il brivido al rischio di averlo avuto presidente della repubblica.

La crisi di partecipazione alle elezioni ha comunque colpito anche i rinnovi dei consigli comunali e dei sindaci, per i quali tradizionalmente la partecipazione era altissima. Trovare strumenti per rinnovare lo stimolo a essere parte attiva di questa democrazia rappresenta forse una missione impossibile. Ma bisogna provarci. Il fondo, forse, non è ancora stato toccato.

Leonardo Raito  

Presentato il programma della fiera di Pentecoste

È stato presentato sabato mattina a Polesella, nel corso di una conferenza stampa promossa dall’Amministrazione Comunale, il programma della fiera di Pentecoste 2022, la tradizionale e plurisecolare manifestazione paesana che riprende dopo due anni di stop causati dalla pandemia. A illustrare il calendario delle iniziative che vanno dal venerdì 3 al lunedì 6 giugno, il sindaco Leonardo Raito accompagnato dagli assessori Massimo Ranzani e Silvia Vignaroli e dalla consigliera Sabrina Gentile, con il sindaco che ha ringraziato la giunta comunale e gli uffici per la collaborazione prestata nella ripartenza di questa manifestazione attesa.

Il programma è un programma ricco con eventi musicali, attrazioni, opportunità enogastronomiche. L’avvio della fiera sarà venerdì 3 giugno in piazzetta edicola con l’esibizione, alle 21.00 delle giovani cantanti del gruppo Young and Unfair e degli atleti di Fitemotion. Sabato sera 4 giugno, sempre in piazzetta edicola, i Daridel in concerto, nella prima delle due notti celtiche, che farà il paio con l’esibizione, della domenica, degli Adgarios. Domenica pomeriggio, presso i giardini pubblici, la rievocazione storica del gruppo delle Lame nere. Lunedì sera il dj set di Maicol Ticchiati, con a seguire la laser night, che sostituirà i fuochi d’artificio. Due importanti eventi sportivi animeranno il campo di Via Repubblica. Sabato pomeriggio quadrangolare di calcio giovanile, mentre domenica sarà il turno della Supercup, il torneo di calcio a 5 che ha già registrato il sold out con formazioni di altissimo livello a sfidarsi per la supercoppa e il ricco premio finale.

Per tutte le sere luna park con grandi attrazioni e giochi e le bancherelle. Da sabato a lunedì sarà operativo lo stand gastronomico della Locò, in arena spettacoli, così come saranno operativi stand delle associazioni Circolo Noi, Avas, San Vincenzo. Sabato sera, inoltre, Cozza di Scardovari Dop sempre in piazzetta edicola. Promuoveranno iniziative nel contesto del calendario anche Non Solo Caffè e Macelleria La Carne di Miari.

Il sindaco Leonardo Raito ha voluto ringraziare i contributori dell’iniziativa, dal main sponsor Acquevenete a Soffitte in Piazza che hanno sostenuto anche economicamente il programma.

Volevamo ripartire con un programma vario e all’altezza delle aspettative, capace di soddisfare un po’ tutti i gusti – hanno comunicato i membri della Giunta – per restituire anche ai ragazzi la gioia del luna park e delle manifestazioni fieristiche che, come da tradizione, sono attese e apprezzate. Ringraziamo tutti per la collaborazione e speriamo che la partecipazione premi un’iniziativa che ha richiesto impegno economico e tecnico e la redazione di un particolareggiato piano della sicurezza per poterne garantire uno svolgimento regolare e sereno.   

Leaderismo in liquidazione?

L’elezione del presidente della repubblica si è conclusa come forse quasi tutti i partiti auspicavano: con un reincarico a Mattarella che, se da un lato rappresenta una garanzia di stabilità e di saggezza alla guida del Colle, dall’altra segna le campane a morto per il sistema dei partiti e per i suoi leader. Il reincarico a Mattarella, pur non escluso dal dettato costituzionale, segna sicuramente una tendenza preoccupante ma la cosa peggiore è il modo in cui ci si è arrivati, tra leader, o presunti tali, che bruciavano candidature manco fossero gratta e vinci, e si rivelavano incapaci di gestire e trovare una quadra come sarebbe stato non auspicabile, ma obbligatorio. Il centrodestra, che pareva compatto, si è liquefatto come neve al sole alle prime difficoltà: prima tenevano botta sulla improponibile candidatura di Berlusconi, poi lanciavano una terna (Pera, Moratti, Nordio) buttandola in pasto ai leoni denotando scarsa chiarezza di proposta e sicuramente non avendola condivisa con nessuno, come il bambino che deve decidere chi gioca perché porta il pallone da casa. Salvini si muoveva in modo dilettantesco, da un lato cercando candidati a destra e a manca senza costrutto, dall’altro lasciando alla sua bulimica comunicazione sociale il compito di spiegare, via tweet, quello che stava facendo. La forzatura sulla Casellati è stato un capolavoro di incapacità: forzare la mano sulla presidente del Senato senza avere nemmeno i voti del suo partito, ha rivelato incapacità di cogliere umori e sensazioni di un parlamento sempre più insofferente a queste leadership forzate. Di certo nemmeno a sinistra sono emersi dei fenomeni da contesto: Letta muto e attendista, alla fine ha voluto preservare il Pd delle tante correnti da danni peggiori, i Cinque stelle multi-anime hanno evidenziato una pluralità di posizioni degna di una polveriera: persino un giornalista ha detto che ormai esistono almeno due posizioni ufficiali, quella di Conte e quella di Di Maio. Del primo, si è compreso che avrebbe accettato tutto fuoriché la naturale soluzione di promuovere Draghi al Quirinale; mentre il secondo raccoglieva il malcontento dei di delusi e i richiami al moderatismo del grillismo di governo. Nel campo dell’inconsistenza si sono mossi i centristi, che hanno giocato una partita al ribasso tra un candidato che avrebbero gradito, Casini, e il blocco a quelli sgraditi; Matteo Renzi, che ha denotato ancora una lucidità purtroppo non supportata dalla forza dei numeri, e altre pattuglie di parlamentari che via via si aggregavano intorno al tavolo delle trattative. Credo infine sia parso a tutti strumentale il richiamo a una donna a presidente della repubblica, bruciando diverse candidature nel novero delle indiscrezioni e giocando nella penultima notte una carta, quella del capo dei servizi segreti, Elisabetta Belloni, che deve aver fatto rizzare i capelli a tanti se al solo annuncio è stata polverizzata dai veti incrociati. Quella che poi è stata definitiva la saggezza del parlamento, va interpretata invece come l’ecatombe dei leader e segna la frammentazione di un quadro politico veramente imbarazzante per incapacità di controllo e gestione, autorevolezza e indirizzo strategico.

Pare che solo l’intervento di Draghi sia riuscito a far cambiare idea a Mattarella, un intervento che, di fatto, apre al commissariamento del sistema politico italiano, imbrigliato ormai dalla competenza di tecnici che suppliscono allo scadimento e ai limiti di un potere partitico sempre meno rappresentativo.

La sostanza è che, dietro la buona notizia (Mattarella presidente, ma non il modo in cui è stato rieletto) c’è la fine dei metodi e della sostanza del leaderismo nazional populista incarnato dai presunti leader contemporanei. In un mare di sconfitti, è davvero difficile trovare un vincitore oggi. Ma è anche difficile ipotizzare una via d’uscita dalla tragedia che stiamo facendo vivere a questa stanca e demotivata democrazia.

Il Quirinale e l’inconsistenza del quadro politico

La prossima elezione del presidente della repubblica con le problematiche che emergono dagli schieramenti sta denotando l’inconsistenza del quadro politico parlamentare scaturito dalle elezioni del 2018, una delle pagine più brutte e drammatiche della politica repubblicana. Il sostanziale tripolarismo, che qualcuno sta cercando di trasformare in un bipolarismo azzoppato, dimostra quanto sia difficile trovare una quadratura del cerchio anche su decisioni di fondamentale importanza per il paese. Ma la realtà evidenzia anche la mediocrità dei dirigenti politici, abituati troppo a ragionare di parte e a difendere l’orticello instabile dei propri partiti dimenticando il necessario spessore da statisti che dovrebbe guidarli se, davvero, vogliono accreditarsi come leader politici in grado di governare il paese. Lo stato attuale delle elezioni vede una pletora di nomi buttati sul tavolo senza costrutto. Certo, non è la prima volta che questo succede, ma non si coglie il disegno complessivo della strategia impostata dai capi partito.

Sembra anzi che tutti siano rimasti spiazzati dalla decisione chiara e ineccepibile del presidente Mattarella di non dare disponibilità a un secondo mandato: come se questa fosse la strada sola per salvaguardare la maggioranza di governo, il presidente del consiglio Draghi che, nel 2023, dopo le elezioni avrebbe potuto, con le dimissioni di Mattarella essere pronto per il colle.

Io ritengo ancora oggi che Draghi sia la figura più rappresentativa per rivestire le posizioni chiave per il paese. E che se non sarà eletto presidente della repubblica, difficilmente i partiti che oggi lo reputano unico salvatore della patria in qualità di presidente del consiglio, potranno domani rimuoverlo, con o senza voto. 

Perché piuttosto, i partiti non hanno trovato la quadratura del cerchio mandando Draghi al Quirinale e potenziando, dal punto di vista politico, il governo, con l’ingresso di tutti i leader dei partiti? A quel punto sarebbero stati capaci di assumersi una precisa responsabilità di garantire il paese di fronte all’Europa, di gestire in modo condiviso i fondi del PNRR, di consentire il completamento della legislatura. 

Troppo difficile? Troppo serio? Non lo so. L’unica certezza che ho è che, scartato Draghi, qualsiasi soluzione per la presidenza della repubblica non sarà la migliore e, sicuramente, sarà di secondo piano. Ma forse in piena linea con la qualità della classe politica di questo momento.

Ridefinire le governance delle partecipate

Le elezioni provinciali dello scorso dicembre hanno segnato un passo, oltre che amministrativo, anche politico. Laddove, fino a poche settimane fa, era legittimo che il peso della Provincia nelle scelte che riguardavano le governance di alcune partecipate, avesse un chiaro indirizzo politico (Ivan Dall’Ara era rappresentante del centrodestra, eletto in contrapposizione al candidato di centrosinistra Francesco Siviero), dall’elezione di Enrico Ferrarese alla presidenza, con la larghissima maggioranza consigliare del gruppo “Uniti per il Polesine” che mette insieme la maggioranza dei sindaci polesani, è cambiato complessivamente il quadro politico. 

La Provincia e gli amministratori locali, per esercitare la propria azione di governo, hanno anche bisogno di esercitare il proprio diritto decisionale nelle sedi operative delle partecipate. Per questo ritengo imprescindibile, e come me diversi colleghi sindaci, una ridefinizione della governance delle società di servizio pubblico che erano state decise, pochi mesi orsono, dal peso determinante del governo provinciale scaduto a fine 2021. Sarà bene, pertanto, che i soci delle suddette società si trovino rapidamente per un confronto e portino al tavolo proposte concrete di rivisitazione gestionale e di indirizzo e che le persone consapevoli di non rappresentare più le maggioranze politiche che le hanno elette in una logica di mandato fiduciario, rimettano a disposizione i propri incarichi, pena grosse problematiche per le aziende e le società che amministrano. Una politica e partiti intelligenti dovrebbero aver capito l’inefficacia di trincerarsi a difesa di qualche posto o qualche poltrona legata solo all’appartenenza di scuderia, sacrificando obiettivi aziendali e governabilità dei servizi pubblici.

Diversamente, resterebbe la carta poco ortodossa (ma spesso efficace) della sfiducia nelle assemblee dei sindaci, con i primi cittadini sempre più decisi a mettere in gioco la propria rappresentatività derivante dal mandato popolare e dagli interessi dei territori che amministrano. Che facciano sul serio, tutti dovrebbero averlo capito dalla decisione (che nessuno credeva i soci avrebbero avuto il coraggio di prendere) di liquidare il Consvipo, un ente decotto e che ormai trascinava stancamente la sua quotidianità impalpabile. Un piccolo capolavoro di realpolitik. Cui se ne potrebbero sommare altri, a breve. Se chi di dovere non farà i passi attesi. Doverosi e dovuti. Non per uno o l’altro partito, ma per la sopravvivenza di società in cui ormai non rappresentano altro che se stessi. Cittadini e amministrazioni che guardano ai servizi erogati dalle partecipate chiedono solo efficienza e competenza gestionale. Poco si interessano della fedeltà alle segreterie dei partiti. 

L’assurdo limbo delle province

Pur essendo un fermo sostenitore del governo Draghi, con la figura del premier che sicuramente spicca rispetto alle precedenti esperienze di legislatura, credo che l’esecutivo, nell’affrontare un problema serio come quello dell’assetto istituzionale del paese, abbia perso molto per la deleteria scelta del Pd di privarsi di un sottosegretario del livello di Achille Variati. Forte della sua vastissima esperienza amministrativa, Variati si stava occupando con estrema serietà dei problemi degli enti locali; problemi non solo economici ma anche strutturali e di assetto, problematiche talvolta legate a moncati processi di riforma che stanno facendo pagare dazio ai cittadini e ai territori una non chiarezza di funzioni e obiettivi che li stanno contraddistinguendo. È il caso, in particolare, degli enti provincia. Le amministrazioni provinciali sono state massacrate dalla famigerata legge Delrio, tanto che ancora mi chiedo come abbia potuto una persona così intelligente produrre un simile aborto. Vivono oggi nel limbo assurdo di essere enti non perfettamente definiti, sia nelle modalità elettive, che di autonomia, con una fortissima differenziazione, da regione a regione, sulle funzioni gestite, senza considerare l’ancora più estrema differenza del loro ruolo nelle regioni a statuto speciale. Succede così, dopo il mancato referendum istituzionale del 2016, che le provincie, in Italia, sono tutto e niente: gestiscono strade, scuole e ambiente in alcuni territori; si inventano altre funzioni in altre zone; hanno deleghe esercitate da consiglieri da alcune parti, non ne hanno da altre. Stanno assumendo, in taluni casi; si stanno svuotando in altri. Quasi tutte tengono in piedi i bilanci con coraggiosi o arditi costrutti finanziari, per esempio ipotecando entrate da cessioni patrimoniali; hanno ruoli chiave scoperti o coperti alla meno peggio, con convenzioni che portano dirigenti a gestire settori fondamentali per poche ore la settimana. Sul cervellotico sistema elettorale poi meglio stendere un velo pietoso: i consiglieri dei comuni hanno un peso ponderato in base alla fascia di popolazione che non fanno valere un principio di eguaglianza; i presidenti hanno poteri abnormi rispetto ai consigli provinciali, assumendo in sé anche i poteri delle vecchie giunte che non esistono più e attuando una forma di governo monocratico più simile ai baronati medievali che alle democrazie moderne. Per tutto questo, credo valga la pena una riflessione seria. Considerato il fallimento della riforma, considerato che gestiscono ancora funzioni utili per i cittadini, considerato che non sono state cancellate dalla costituzione, considerato che occorrono enti di area vasta per coordinare i comuni e progetti ai fini del PNRR, considerato che le Regioni sono enti troppo grandi e distanti dai territori: non sarebbe forse meglio tornare a un sistema elettivo diretto? Non sarebbe bene restituire un po’ di autonomia a questi enti? Non sarebbe bene tornare a leggi che finanzino le funzioni fondamentali delle stesse?  

Il problema alla conca di Pontelagoscuro danneggia il turismo sul Po.

Solo poche ore fa abbiamo ricevuto, dalla compagnia di navigazione ferrarese “La Nena sas” con cui avevamo avviato un percorso di collaborazione per una programmazione continuativa di turismo fluviale sul Po facente capo a Polesella e al suo attracco fluviale, la comunicazione che la chiusura della conca di Pontelagoscuro non consentirà alla nave di raggiungere il nostro paese e, pertanto, ci obbliga a rinviare, speriamo di poco tempo, la programmazione. Si tratta di una notizia che ci rattrista, oltre a crearci l’indubbio problema di dover rinviare la partenza di un’esperienza che, sebbene da poco accennata, aveva già iniziato a raccogliere consensi e adesioni. 

Resta da chiedersi perché, in Italia, la progettazione e la gestione delle vie di navigazione abbia sempre problemi che sembrano insormontabili. Nella fattispecie, la conca di Pontelagoscuro, porta sul fiume Po dell’idrovia padana, pare sconti problemi di progettazione, realizzazione, manutenzione e gestione, di fatto privando il collegamento con il fiume grande di tutti i natanti della navigazione interna ferrarese. 

Senza puntare l’indice contro qualcuno, non possiamo che sottolineare che questa problematica danneggia lo sviluppo economico legato al turismo sostenibile e alla mobilità via acqua sul fiume Po, impedisce a una amministrazione comunale un investimento in ambito turistico che avrebbe avuto positive ricadute sul territorio, oltre che per la compagnia di navigazione, reduce, come molte attività economiche, dalle difficoltà dei 15 mesi di pandemia. Solo il primo weekend di attività avrebbe portato a usufruire del programma previsto più di cento persone, anche con il vantaggio dell’intermodalità e della visitazione delle bellezze del territorio. 

Mi sono riservato di prendere contatti con i ministeri competenti, la Regione Emilia Romagna e altri enti, per segnalare la problematiche sperando che possa essere risolta al più presto. Troppo spesso l’attivismo degli enti locali, che come dichiara il presidente Draghi, dovranno essere protagonisti del rilancio del paese, si trovano a fare i conti con problematiche che non riescono ad affrontare e che ostacolano le prospettive di crescita e di sviluppo.

Leonardo Raito

Sindaco di Polesella  

Terza corsia sulla tratta polesana della A-13: non uno sfizio ma una necessità

L’autostrada A-13 Bologna-Padova rappresenta oggi uno dei principali tratti viari Sud-Nord per i trasferimento di persone e merci nelle zone più industrializzate del paese. 

Negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli incidenti stradali, anche mortali, che hanno coinvolto in primis mezzi pesanti per il trasporto delle merci.  Si tratta ormai di una problematica diffusa, legata anche al fatto che il volume di traffico rapportato a una tratta che conserva le due sole corsie per senso di marcia, è del tutto inadeguata per i bisogni degli attuali flussi di traffico.

Poiché da qualche tempo circola la notizia che il governo intende dar corso a un rafforzamento della A-13 Bologna-Padova, in particolare prevedendo la terza corsia nelle provincie di Padova, Ferrara e Bologna, ci chiediamo per quale motivo il Polesine venga escluso da questo progetto, data anche la pericolosità espressa dai dati sopra riportati.

Senza la terza corsia, il tratto polesano diventerebbe un drammatico imbuto per il traffico, creando notevoli inconvenienti alla viabilità autostradale e, in caso di incidenti, anche alla viabilità ordinaria. Auspichiamo una presa di coscienza da parte dei nostri governanti rispetto a una tematica che non va sottovalutata.

Leonardo Raito