La scuola non ha età. Tanti iscritti ai corsi d’istruzione per adulti a Polesella

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Il Sindaco del Comune di Polesella, con la stipula di una Convenzione con il Centro Permanente per l’Istruzione degli Adulti (CPIA) di Rovigo, ha messo a disposizione dell’intero territorio comunale e dei comuni limitrofi, punti  di educazione permanente, che danno risposta ai bisogni formativi della popolazione adulta, al fine di migliorare la conoscenza delle lingue straniere, dell’informatica e per promuovere l’integrazione linguistica e sociale dei cittadini stranieri, erogando corsi di lingua italiana.

La finalità del CPIA di Rovigo è quella di seguire gli adulti di tutto il territorio del Polesine, cercando collaborazioni con i sindaci e le istituzioni.

“Un’attenzione riservata all’organizzazione dell’istruzione per adulti, che in Italia sta muovendo i primi passi. Negli altri Paesi, penso alla Spagna o la Germania, ci sono grossi investimenti, da noi è una novità. E a Polesella, la novità è stata colta molto favorevolmente” spiega l’assessore all’istruzione, prof.ssa Cinzia Ghirelli,  “La scuola non ha età e i  corsi mirati all’apprendimento di competenze digitali e nelle lingue straniere (inglese, ma non solo) sono strategici per l’esercizio attivo della cittadinanza”.

Conclude il Sindaco Leonardo Raito: “Siamo molto soddisfatti e i numeri sono veramente significativi; oltre una trentina di iscritti ai corsi d’inglese e informatica e, da lunedi 19 dicembre, partirà il corso per gli stranieri che consentirà l’avvio all’uso della lingua italiana, per poter successivamente conseguire l’attestato di livello A2. La convenzione tra il Comune di Polesella e il CPIA di Rovigo, diretto dalla prof.ssa Paola Malengo, dirigente anche del comprensivo 4, è una formula che utilizza al meglio gli strumenti  per  valorizzare le competenze formative specifiche del CPIA, nella sua funzione di risposta alle esigenze territoriali. Un’opportunità che abbiamo cercato di cogliere da subito e che davvero sta dando risultati che ci rendono felici”.

Analfabetismo costituzionale nella valutazione della crisi di governo

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Gentiloni e Mattarella (Fotografia tratta da http://www.gazzettadelsud.it/resizer/680/380/true/1481444065635.jpg–mattarella_convoca_gentiloni.jpg?1481444070000) 

 

Non credevo che dopo la schiacciante vittoria del No al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, salutata da un variegato fronte che si era affrettato a dichiarare, a bocce ferme, che la nostra meravigliosa costituzione era stata salvata dall’assalto autoritario e antidemocratico di Renzi e compagnia, che si potesse scadere subito in un clamoroso voltafaccia rispetto alla gestione, secondo costituzione, della crisi di governo. Perché, se vogliamo essere sinceri, il gesto più onesto e in linea con le promesse l’ha fatto proprio l’ex premier, dimettendosi dall’incarico di presidente del consiglio dei ministri e dichiarando l’indisponibilità a portare avanti un nuovo governo. Ma ecco che nel variegato fronte del No si fa largo una chiara mistificazione dell’azione di Mattarella. Una cosa voluta? Non lo possiamo affermare con certezza. Ma restiamo ai fatti. L’art. 92 della Costituzione assegna al Presidente della Repubblica il compito di nominare il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri. Lo scioglimento delle camere è l’estrema ratio, comunque consentita, dall’articolo 88 che recita: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”.

Mattarella si sta quindi muovendo nel pieno solco della legalità e dei suoi legittimi poteri. Ha ascoltato i presidenti delle camere, ha dato corso alla consultazione di tutti i gruppi parlamentari. Ovviamente avrà cercato di capire se sia possibile coagulare una maggioranza parlamentare attorno a una nuova compagine di governo. Perché? In primis perché lo scioglimento delle camere era parsa da subito una ipotesi non percorribile in quanto la legge elettorale attualmente vigente “Italicum” riguarda soltanto la Camera ed è passibile del prossimo giudizio della Corte Costituzionale. Il Presidente della Repubblica sa che lo scioglimento immediato delle camere porterebbe a elezioni anticipate con leggi diverse che, probabilmente, produrrebbero una situazione di non stabilità al Senato. La nomina di un governo tecnico probabilmente è stata nei pensieri del Presidente, ma deve aver cozzato con le indicazioni scaturite dalle consultazioni.

E torniamo al problema tecnico, perché le crisi di governo sono anche questioni di numeri, in questo caso di numeri al Senato. Allo stato attuale, la composizione della camera alta è la seguente: Partito Democratico: 112 senatori; Forza Italia: 42; Movimento Cinque Stelle: 35; Area Popolare: 29; Misto: 28; Per le autonomie: 19; Ala: 18; Grandi autonomie e libertà: 14; Lega Nord: 12; Conservatori e riformisti: 10. Chiarissimo che il perno di un nuovo governo non possa che essere sul Pd e sulla maggioranza che avevano sostenuto il governo precedente. A tal proposito, è importante andare a vedere le parole di Berlusconi, leader del secondo gruppo numerico rappresentato, che ha dichiarato che tocca al Pd esprimere e sostenere il governo per quel che resta della legislatura, che l’ex premier si augura sia la più breve possibile, esprimendo nel contempo apprezzamento per il senso di responsabilità istituzionale del presidente Mattarella.

Il Presidente della Repubblica si sta pertanto muovendo con la tanto invocata responsabilità istituzionale. Ha scelto di incaricare un presidente del consiglio espressione del Pd che possa incassare la fiducia dei due rami del parlamento, varare una legge elettorale che possa portare al voto il prima possibile in condizioni di sicurezza. Non è affar di popolo se la scelta è ricaduta su Gentiloni. Almeno di ripudiare la stessa costituzione che con tanto impegno si è difesa in campagna elettorale. Magari senza averne mai letta una riga.

 

 

 

Claudio Pavone e la menzogna della “memoria condivisa”

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(Foto dal sito http://presidenti.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Foto&key=14636)

Si è spento a Roma, all’età di 95 anni Claudio Pavone, un finissimo storico che ha consegnato alla cultura italiana l’opera fondamentale per la riscrittura della guerra civile occorsa nel nostro paese tra il 1943 e il 1945. La scomparsa dell’accademico romano, che ha suscitato il cordoglio del mondo culturale e della comunità degli storici italiani e internazionali, tutti concordi nel riconoscere a Pavone, che prima di diventare professore universitario, tra l’altro tardi, negli anni settanta, era stato un ottimo archivista, le doti di ricercatore che lo avevano portato a produrre opere imprescindibili per capire in profondità momenti fortemente divisivi della storia italiana. Pavone, che si era formato nell’ambito storiografico marxista, ma che non aveva mai aderito al Pci, era profondamente antifascista e aveva combattuto la guerra partigiana, esperienza che lo accomunò a molti dei contemporaneisti italiani. Il particolare non è da poco, se si considera che la storia contemporanea in Italia è sempre stata, in primis, storia politica, e che le posizioni e le ricostruzioni sono state fortemente politicizzate. Quando Pavone, nel 1991, sdoganò il termine “guerra civile” relativamente alla guerra tra partigiani e repubblichini, riconsegnando a quest’ultimi il riconoscimento dello status di combattenti, non mancarono le critiche, giunte soprattutto da sinistra: i custodi delle verità storiografiche non potevano accettare che nel proprio seno si consumassero degli strappi e, meno che meno, che nel valore civile che doveva avere la professione di storico qualcuno rischiasse di alimentare una prospettiva di riabilitazione di esperienze fasciste. Ma Pavone non si arrese, e cercò anzi, con coraggio, di prendere le distanze da certe degenerazioni che l’uso pubblico della storia cercava di imprimere ai fatti, agli eventi che lo storico stesso aveva vissuto in prima persona. Il tema della “memoria comune” o della “memoria condivisa” fu bersaglio di alcuni suoi scritti: non c’è niente di più soggettivo della memoria, aveva affermato, ed era impensabile che chi aveva fatto la resistenza e chi aveva combattuto per la repubblica sociale avessero la stessa memoria, la stessa percezione di quello che era avvenuto. Anche questa è una grande lezione intellettuale, di fronte a chi vuole omogeneizzare tutto, ad ogni costo. Una lezione di onestà e di chiarezza, che serve ad ogni uomo che pensi al proprio impegno civile. Anche per questo, in un modo fatto di aspiranti o presunti fenomeni, l’onestà di Pavone ci mancherà. A testimoniarla, però, resteranno le sue imperiture opere.