Immigrazione: gestire un fenomeno perché non diventi un’emergenza (riflessione di un amministratore locale)

Immigrazione: Fregata Euro soccorre due barconi con 956 profughi
Profughi di origine Subsahariana a bordo di un barcone, Mar Mediterraneo Meridionale, 11 Settembre 2014. Nel corso dell’operazione ‘Mare Nosrum’ la Fregata Euro ha individuato e prestato soccorso a due barconi con 956 persone. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Volenti o nolenti, il tema dell’immigrazione oggi è diventato non un tema qualunque, ma il tema prioritario che la politica deve affrontare. Lo si connette a tutto: alla crisi economica, alle guerre e alle relazioni internazionali, alla crisi sociale, morale; di fronte a qualsiasi cosa ecco che spunta la questione, mediata, urlata, sparata. Però arriva. Ormai la stragrande maggioranza degli italiani la pensa così: questi migranti arrivano superando il Mediterraneo a bordo di carrette del mare o i confini porosi dell’Est Europa, e, per carità di Dio, hanno coraggio e vivono una traversia da panico. Però non sappiamo chi sono, eppure vengono accolti, ospitati, collocati in strutture. La gestione costa molto, ma gli si garantisce un letto, una doccia e un pasto caldo tutti i giorni, cose che magari mancano a gruppi di italiani sempre più oppressi da una povertà diffusa cui sembra difficile porre rimedio. Eppure? Eppure ci sono una miriade di fattori che fanno pensare che questo fenomeno, irreversibile, storico, naturale, sia oggi un problema che ha superato ogni limite di sopportazione. Perché? La crisi, in primis, acuisce la percezione negativa del fenomeno. Sono troppi, li manteniamo, non portano valore aggiunto alle comunità che li ospita, sono gestiti da cane, in modo burocratico e lento, non si integrano, alimentano la delinquenza, sui barconi ci sono i terroristi, fanno paura e aumentano il senso di insicurezza.

Quante di queste affermazioni siano vere, interamente, o parzialmente, è difficile dirlo, ma non ci si può esimere da fare considerazioni di ordine politico e amministrativo se si vuole cercare di cogliere le modalità per gestire una situazione che rischia di sfuggire di mano alle istituzioni e alle società ospitanti.

La prima è che il peso politico della gestione dell’emergenza profughi è stata scaricata su amministrazioni locali non in grado (per i pochi strumenti a disposizione) di contenere la portata e i riflessi del fenomeno. Il governo chiede supporto e comprensione ai territori, ma non si rende conto dei tanti problemi che attanagliano i territori stessi.

Lasciando da parte i sentimenti di pietà cristiana (effettivi, reali, ma non è con quelli che si fanno i bilanci e le politiche delle pubbliche amministrazioni), un amministratore o un politico pragmatico dovrebbero partire da una domanda: chi sono gli utenti finali della gestione del fenomeno migratorio? Con chi occorre effettivamente misurarsi per cogliere il senso e l’efficacia delle politiche di accoglienza? Si potrebbe dire, con i profughi stessi: ma sarebbe un sottintendere una realtà molto, molto più complessa.

Possiamo negare che una struttura di ospitalità possa avere ripercussioni sull’ambiente esterno? No, non si può. Non vale solo per gli immigrati. Pensiamo ad esempio a un paese che si veda collocare una struttura per recupero tossicodipendenti, o per minori affetti da vari disagi. Si tratta di qualcosa che cambia (non necessariamente stravolge) la routine di un paese, di una comunità. Lo stesso vale per un paese chiamato a ospitare una, più o meno ampia, struttura di accoglienza profughi. Quando poi si fanno scelte scriteriate, come per esempio riempire ex basi militari con un migliaio di richiedenti asilo, quando queste ex basi sono collocate in territori abitati da qualche centinaio di cittadino, si creano squilibri evidenti. Possibile che non ci pensi nessuno?

Non credo sia piacevole vedere questi ragazzi bivaccare per le strade. Non credo sia piacevole vederli costretti (magari da qualche racket criminale) a stanziare davanti a bar e supermarket a chiedere l’elemosina con insistenza. Non è piacevole vederli di notte in bicicletta lungo pericolosissime strade statali. E nemmeno sentire crescere il senso di incertezza, di insicurezza e di rabbia dei propri cittadini. Gli amministratori locali sono lì, proprio nel mezzo: tra la domande legittime dei propri concittadini e le richieste, altrettanto legittime, delle istituzioni centrali. Il problema è che chi di dovere (le istituzioni centrali) non ha ancora trovato il centro di gravità permanente tra la gestione dell’emergenza e i territori, tra le evidenti problematiche sociali e questi fenomeni che vanno governati, non solo gestiti.

E allora dove sono i problemi? Le tempistiche per la definizione della domanda di asilo sono troppo lunghe. Possibile che non si trovino formule più rapide? Possibile che non esistano banche dati internazionali in grado di rendere più semplici controlli, verifiche, definizioni delle pratiche? C’è poi un problema chiarissimo di politica internazionale e di rapporti: un’Europa che scarica sui paesi mediterranei, di frontiera, la piena gestione del fenomeno è un’Europa irresponsabile, irrispettosa. La scarsa chiarezza di leggi e normative poi, tipica del nostro paese, rende imbarazzante e tortuoso ogni percorso gestionale. Se non si sa chi deve fare cosa, e come, si crea una giungla di soluzioni proposte, non uniformi, non trasparenti, non semplici, che genera confusione, difficoltà di coordinamento e di condivisione di buone prassi.

Se ci sommiamo una politica urlante e che non sa analizzare in modo acritico e oggettivo la portata dei fenomeni, facciamo bingo. Si protesta, ci si incazza, si impreca contro il sistema, ma intanto i barconi continuano ad arrivare, i prefetti continuano a collocare richiedenti asilo, cooperative continuano a gestire. Ma non si giunge mai al cuore del problema.

Fossi nel ministro degli interni, costruirei una commissione ad hoc fatta di esperti di vari settori (sociologi, psicologi, criminologi, forze dell’ordine, rappresentanti delle istituzioni) e proporrei un protocollo operativo sperimentale da sottoporre a tutti i comuni e le istituzioni italiane. Più chiarezza, più uniformità, più organicità delle strategie, potrebbero essere un punto di partenza efficace per gestire un fenomeno che rischia, inevitabilmente di tradursi in un’emergenza sociale.

Tra Ville e gradini grande successo non annunciato.

 

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Ricevo dagli organizzatori della rassegna e pubblico con piacere

FRATTA POLESINE (RO) – Seimila spettatori circa, con una media di quattrocento persone a serata e picchi sopra i cinquecento. Migliaia e migliaia i biglietti staccati, le prenotazioni, gli abbonamenti. Tredici spettacoli concentrati in un mese, dal 21 luglio al 23 agosto. Tredici artisti di spessore per tredici location di interesse storico paesaggistico in altrettanti comuni polesani. Sono i numeri di questa 17ma edizione della rassegna estiva Tra ville e giardini, che si è conclusa col concerto di Fabio Concato a Fratta Polesine (Ro), in villa Badoer, ieri sera 23 agosto.

La rassegna ha avuto un enorme riscontro nella partecipazione e nel gradimento del pubblico, sebbene partita in sordina ed in ritardo, a causa dei tagli finanziari alla spesa, in cui è incappato il settore cultura. Nonostante le difficoltà, ricordate pubblicamente dagli organizzatori, il Polesine ha fatto rete e l’intervento economico dei tredici comuni che hanno aderito all’iniziativa è stato determinante.

“Mai come quest’anno è stata l’edizione dei Comuni e del pubblico – commenta il direttore artistico della rassegna, Claudio Ronda. – I Comuni hanno investito in questa manifestazione culturale anche sacrificando delle quote di bilancio, soprattutto i comuni più piccoli. Hanno deciso di investire in cultura indipendentemente dalla politica, dimostrando che sono le persone a fare la differenza. Il pubblico – prosegue Ronda – ci ha seguito attivamente con la presenza e su Facebook. Anzi, possiamo dire che questa è stata in assoluto la rassegna più vicina alle persone. Credo che Tra ville e giardini, oltre al pregio di essere stata un’occasione per fare rete tra tanti soggetti – conclude il direttore artistico – è stato anche un momento di recupero del senso della collettività, uno stare assieme portandosi a casa un messaggio o un’esperienza”.

Dopo un così pieno successo andato oltre ogni previsione, ci si attenderebbe che gli enti coinvolti, come aveva preannunciato il presidente della Provincia Marco Trombini alla conferenza stampa di lancio, si mettessero al più presto al lavoro per programmare la 18edizione.

Nella paternità del festival, in prima linea c’è la Provincia di Rovigo, che ha promosso e sostenuto la rassegna, poi l’Ente Rovigo festival che ne ha curato l’organizzazione, e chi l’ha finanziata, cioè la Regione del Veneto (Rete eventi), la Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, il Consorzio di sviluppo del Polesine; quindi i tredici comuni che, oltre al sostegno economico, hanno collaborato all’organizzazione: Ariano nel Polesine, Badia Polesine, Bosaro, Canda, Castelmassa, Ceneselli, Fratta Polesine, Lendinara, Occhiobello, Polesella, Porto Tolle, Rovigo e Villamarzana. “Tutti hanno deciso di investire sulla cultura – come ha ricordato il direttore artistico della rassegna Claudio Ronda dell’Ente Rovigo festival – indipendentemente dalla politica, dimostrando che sono le persone che fanno la differenza”.

Il percorso artistico e geografico di Tra ville e giardini 2016, si è caratterizzato per artisti che in qualche modo stanno rimettendosi in gioco con sperimentazioni in nuovi campi. “Ci insegnano – come ricorda ancora Ronda – che è importante mescolare nuove esperienze, non creare muri e ostacoli, ma lasciare spazio al nuovo”. I luoghi scelti come sfondo delle performance artistiche, per ragioni storiche o sociali, sono stati perfettamente azzeccati, dando, fra l’altro, modo al pubblico di visitare e scoprire posti che normalmente non sono raggiungibili, come è nello spirito originario del festival.

Così si è aperta la rassegna a Polesella, a villa Selmi con il gospel-jazz-soul di Tuck&Patti (21 luglio), poi tutti in piazza Maria Bolognesi a Bosaro per The Black Blues Brothers di Circo e dintorni (23 luglio); a Villamarzana, nella corte di Villa Cagnoni Boniotti col jazz sudamericano di Maria Pia De Vito e Trio Brasil (25 luglio); grande primo bagno di folla e divertimento a Rovigo, al Museo dei Grandi Fiumi, con Paolo Jannacci in concerto con Enzo (25 luglio); ancora nel verde della ex base Nato a Ceneselli con la musica internazionale di James Senese&Napoli centrale in ‘O Sanghe (27 luglio); divertimento e verve a Castelmassa (1 agosto) a palazzo Riminaldi Bresciani con le Foxy Ladies; partecipazione straripante per Mario Venuti con gli Urban Fabula che si è esibito a Canda, a villa Nani Mocenigo (3 agosto); poi jazz internazionale con Sarah Mckenzie Quartet all’Abbazia della Vangadizza a Badia; ancora pubblico da ogni dove per il Canzoniere grecanico salentino a Corte Basson a Donzella di Porto Tolle (9 agosto); musica classica a Lendinara con l’Orchestra dei Giovani archi veneti a villa Dolfin Marchiori (11 agosto); innovativo spettacolo storico antropologico di Patrizio Fariselli e Michela Zucca “Di popoli erranti, di draghi, di santi e di dei”, a San Basilio in Ariano (17 agosto); la meraviglia della musica a cappella coi SeiOttavi a corte Savonarola ad Occhiobello (20 agosto); il gran finale in villa Badoer a Fratta, con uno strepitoso Fabio Concato e Paolo di Sabatino Trio (23 agosto).

Fusione: perché abbiamo il dovere, almeno, di provarci!

FusioneDeiComuni

In questi giorni sta ottenendo molta attenzione, anche sulla stampa, la notizia che il comune di Polesella, insieme a quello di Frassinelle, hanno deciso di avviare uno studio di fattibilità per arrivare a capire i potenziali vantaggi di una fusione che potrebbe costruire una nuova municipalità di 5.500 abitanti, la decima del Polesine. Il consiglio comunale di Polesella, da tempo, ha indicato questa strada come una strada da percorrere, in quanto ci si è resi conto che altre esperienze di forme associate di funzioni non garantiscono quell’efficienza dovuta e attesa da parte dei cittadini. La giunta comunale, allora, ha deciso di muoversi ricercando sinergie che potessero contare su basi culturali e di collaborazione consolidate. Il primo passaggio, doveroso, è stato con i sindaci dei comuni aderenti all’Unione dell’Eridano, ma la proposta non ha incontrato, legittimamente, interesse. Con il comune di Frassinelle, invece, ci si è trovati ampiamente d’accordo sulla proposta. I nostri territori confinano (ci sono strade a metà), ci sono larghi interscambi economici e di persone, collaborazioni consolidate da tempo (come per esempio per la polizia locale), la vicinanza dei nuclei abitati è certificata (meno di cinque minuti di macchina tra i due municipi). Ecco che il percorso comune è parso naturale, e così è sembrato anche alle associazioni dei due comuni, che in specifiche riunioni hanno dato il via libera allo studio di fattibilità, incoraggiando le amministrazioni a percorrere questa strada. L’idea è che lo studio di fattibilità, che dovrà coinvolgere da subito i cittadini nell’identificazione dei vantaggi e delle criticità, diventi la base per un nuovo grande patto territoriale che sarà alla base della vita del nascente (se i cittadini lo vorranno) comune. I vantaggi della fusione, oggi, sono notevolissimi e vanno da un aumento dei trasferimenti alla possibilità di destinare interamente l’avanzo di amministrazione, dalla capacità di assunzione alla possibilità di mantenere per cinque anni tassazioni distinte, mantenere i municipi, gestire in autonomia le gare d’appalto, senza ricorrere alle stazioni uniche appaltanti. Polesella e Frassinelle, insieme, potrebbero avere una struttura più forte, con maggiori competenze, con una forza lavoro garantita dalle proprie squadre esterne da fare invidia a enti molto più grandi. Con la possibilità di avviare maggiori collaborazioni, di garantire servizi anche attraverso l’interscambio di persone. Nascerebbe di sicuro un comune di riferimento per un territorio più vivo, più preparato ad affrontare sfide e a cogliere occasioni, che potrebbe garantire efficienza e risparmi, senza privare i cittadini delle proprie prerogative democratiche, anzi, rafforzandole. Abbiamo deciso di agire anche perché siamo convinti che la riduzione del numero dei comuni sia un processo irreversibile e che, prima o poi, verrà imposto o calato dall’alto. Decisamente meglio provare a guidarlo, a costruirlo su basi solide, come auspicano anche molte delle categorie e delle associazioni economiche. Ecco perché, insieme all’amministrazione di Frassinelle, abbiamo creduto che provarci sia doveroso. Non per noi amministratori (che, in caso di vittoria al referendum, interromperemo il nostro mandato) ma per i cittadini. Che avranno poi la prova democratica del voto per decidere se le intenzioni della proposta siano condivisibili. Per il Polesine si apre una pagina di autentica democrazia. E vogliamo esserne protagonisti insieme ai nostri concittadini.

C’era una volta il Milan di Berlusconi (visto da un avversario)

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Dopo trent’anni e alla fine di una telenovela che durava ormai da mesi, il Milan ha cambiato proprietà. Silvio Berlusconi ha venduto ai cinesi, uno dei tanti gruppi che si erano fatti sotto per una società ed un marchio conosciuto nel mondo grazie alle straordinarie vittorie dell’era del cavaliere. Non è facile per uno juventino sfegatato come me, tessere le lodi di una delle nostre grandi avversarie, tanto più che il Milan ci ha regalato tantissimi dolori. Ma, nel momento storico, intendo offrire un ricordo personale che va quasi a certificare la grandezza di una squadra che, per alcuni anni, ha stradominato in Europa e nel mondo.

Quando Berlusconi comprò il Milan, in Italia dominava la Juve di Trapattoni e Platinì. Prendo i due estremi: un allenatore difensivista per eccellenza e un centrocampista offensivo straordinario, forse uno dei più forti della storia. Con la Juve (almeno da quando iniziai a seguire il calcio) si vinse lo scudetto 83/84. Poi l’85/86. In mezzo, una coppa delle coppe, una supernova europea, un mundialito, una coppa campioni maledetta e insanguinata, l’intercontinentale, che voleva dire essere i più forti del mondo, e quella partita fu dalle emozioni fortissime: girandola di gol, una rete da cineteca annullata a Platini, Laudrup che la mette dentro dalla riga di fondo e poi i rigori col riccioluto Tacconi che ne para due. Poi emerse il Napoli di Maradona. C’era l’Inter di Rumenigge che però non sfondava mai. La Roma. E il Torino che nei derby ci faceva sempre penare. E il Milan?

Il Milan era una società in ricostruzione. Reduce anche dall’esperienza della serie B, provava a ricostruire, ma sembrava poco solida. Degli album di figurine di quegli anni, ricordo i Baffoni di Terraneo, i dentoni di Icardi, Oscar Damiani, Vinicio Verza e Paolo Rossi. Poi gli inglesi, Wilkins e Heatley. Ma non vincevano. Fino a quando non arrivò Berlusconi. E il Milan iniziò una risalita, grazie anche al calcio innovativo ed esplosivo di un allenatore semisconosciuto: Arrigo Sacchi, uomo che rivoluzionò il calcio mondiale. Quel Milan incredibile, poggiò su due (e poi tre) olandesi incredibili. Gullit a Torino, fece un gol a Tacconi saltando in cielo e mettendo di testa la palla dove neanche un angelo sarebbe arrivato. Van Basten segnava, segnava e segnava. Sempre, in ogni modo, con le eleganti movenze di un centravanti come non si era mai visto.

Ma la partita che mi strabiliò fu la finale di Coppa Campioni contro lo Steaua Bucarest. Un 4-0 incredibile. Ricordo che rimasi incredulo di fronte a un gioco che ubriacò gli avversari, e tutti quei palloni a gonfiare la rete romena. Iniziò l’epopea di una squadra stellare, che poi Berlusconi rinforzava anno dopo anno senza badare a spese.

Negli anni di una Juve appannata, che schierava nani alla Rui Barros, anziani alla Altobelli, russi senza costrutto, e che provava a rimpiazzare Platini con Magrin e Ian Rush, non potevamo che guardare con invidia a quel Milan. Che gioia fu batterli in finale di coppa Italia con la rete di Galia. Ma la voglia di festeggiare scemava di fronte ai successi della squadra più forte del mondo. C’era quasi da impallidire al confronto.

Oggi finisce l’epopea di quella stagione. Ma chi ama o ha amato il calcio, non può che dire grazie a quel Milan per quello che ci ha fatto vedere.