I miei trent’anni di calcio (una piccola storia di una piccolissima carriera)

POLESELLA2004-05

Immagine della Giovane Italia Polesella 2004-05

Anche se interesserà a pochi, provo a raccontare i miei trent’anni di passione per il calcio. Magari qualche amico si divertirà a leggere queste note, o vorrà raccontare qualcosa di più. Mi sembrava l’occasione divertente per fissare qualche ricordo. 

 

Ho iniziato a giocare nella Giovane Italia Polesella nel 1989, nei pulcini. In realtà, avevo provato già un paio di anni prima, ma i ragazzi più grandi non mi passavano il pallone e pensai che non sarei riuscito. Mi piaceva molto il calcio, giocavamo spesso nei campetti, dietro la chiesa dopo il catechismo o nel piazzale asfaltato di via Grandi, dove ci trovavamo in ammucchiate di venti contro venti. Spesso, come succede ai bambini un po’ più scarsi con i piedi, venivo mandato in porta, ma sinceramente non ero andato a giocare per fare il portiere. Però al primo allenamento, per la partitella finale, mi mandarono in porta. Ebbi la sventura di fare una bella parata in tuffo, e decisero che quello era il mio ruolo. Allenatore era Tino Meggiolaro, che vantava trascorsi nel Venezia. Era un uomo buono. La prima partita la giocai sul campo di San Pio, alla prima di campionato, contro il Due Torri B, che schierava, con mia grande sorpresa, anche delle bambine. Vincemmo 3-0 ma mi ricordo che mi tremavano le gambe. I miei compagni mi dissero subito che se avessi subito gol mi avrebbero fatto uno scherzetto…avevo una paura! Nei primi anni soffrivo molto l’emotività delle partite, tanto da fare anche degli errori incredibili, come quando, a Villanova del Ghebbo, chiesi a Lorenzo, un mio compagno, di passarmi indietro la palla per poter far vedere ai miei genitori, che erano in tribuna, quanto lontano riuscivo a rinviare. Per poco la palla non mi scappò in porta, mi rimbalzò sugli stinchi e finì in calcio d’angolo. Che figura! Nella stessa partita subii anche il mio primo gol, in pallonetto. L’anno dopo invece, sempre con Tino allenatore, giocai pochissimo. Come portieri c’erano anche due ’77, Matteo e Francesco, e io sistematicamente finivo in panchina. Però mi toccò giocare, e lo feci molto bene, la partita con la Villanovese (uno dei due titolari era in gita e l’altro malato) che vincemmo anche grazie a una mia bella parata. Qualche ricordo divertente però ce l’ho: come la trasferta a Villafora, con il mitico pulmino Fiat Panorama grigio della società, tra lanci di borse che facevano disperare Maurizio, che lo guidava.

Poi venni allenato da Franco Tosatti, che iniziò anche a fare lavoro specifico sul ruolo di portiere e accrebbi la fiducia in me stesso. Mi specializzai molto nelle uscite basse, sui piedi degli attaccanti lanciati a rete, in cui riuscivo bene. Poi devo dire che imparai molto anche da Renzo Grego che era un ottimo preparatore e che lavorava molto sulla tecnica di base e sui fondamentali. Un elemento particolare, infine, è che ho sempre parato molti rigori. Un anno feci anche un provino per il Chievo, sul campo di Stanghella. Ricordo una splendida parata con cui bloccai una palla sulla linea su un colpo di testa ravvicinato. Uno degli osservatori mi parlò, alla fine, ma poi non fui più contattato. Peccato!

Da ragazzino ricordo che di divertivamo molto ad andare a vedere le partite della prima squadra la domenica. Lì sceglievamo i nostri idoli, sperando, un giorno, di emularli. A Polesella erano gli anni di Luciano Giunta, un portiere straordinario, che era stato protagonista di una promozione con il Costa. Ma in quegli anni quanti bravi giocatori ho visto passare con la maglia rossoblù. Mi ricordo benissimo Baretta, il mastodontico Alessi, Dalconi, Baraldi, Guerra. Ma anche Gianpietro “Caccia” Rossi. Poi Miotti, Rosatti, Giorgio Ghirello, Gianni Bertié, Giuliano Sandali e tanti altri ragazzi, con cui ho giocato insieme quando ho messo per la prima volta piede in prima squadra. Intanto crescevo un po’ anche in altezza. E ho anche qualche ricordo nitido. Non miglioravo molto in emotività. In una partita, a Granzette, mi pare fossimo negli esordienti, mi misi a piangere dopo che un mio compagno mi incolpò per le due reti subite nel primo tempo. Ma poi alla fine, quando seppi parare un tiro angolatissimo, dopo che avevamo ribaltato la partita, ricordo che tutti vennero a farmi i complimenti. Tra gli episodi divertenti, ricordo che in un’altra partita, in cui non avevo dovuto compiere nemmeno un intervento, pur su un terreno pesantissimo, i miei compagni per farmi sporcare mi presero e buttarono nella scolina. Forse oggi parlerebbero di bullismo, quando ieri era solo goliardia. Feci anche qualche partita da centrocampista, in emergenza eravamo quasi riusciti a bloccare la corazzata Rovigo, e col Bagnolo avevo servito un assist vincente. Poi segnai anche il primo gol, su rigore, in un 20-0 contro il Grignano che si era presentato in otto. Vincemmo anche un campionato allievi Csi, con allenatore Miotti e poi l’abbinata Pattaro-Dalconi, poi feci due anni di juniores. Non avevamo una grande squadra, specie il primo anno, quando ero sotto età e facevo da secondo a Incanuti. L’anno dopo, invece, iniziato con mister Benito Ghelfi, fui molto discontinuo. Ricordo però con piacere una partita a Fiesso Umbertiano in cui, tra mille difficoltà, con un uomo in meno e su un terreno pesantissimo, mantenemmo il pareggio fino a cinque minuti dalla fine. In quella partita parai il mondo, compiendo interventi che nemmeno io mi aspettavo di saper fare. A fine partita l’arbitro e gli avversari mi fecero i complimenti. Il direttore di gara, che poi sarebbe diventato il presidente della sezione Aia di Rovigo, Sica, mi disse che avevo fatto delle parate pazzesche. Purtroppo fecero il paio con altri errori clamorosi compiuti in alcune partite. Ma nel frattempo avevo iniziato a mettere piede in prima squadra. La prima volta fu, guarda un po’ il destino, a San Vigilio. Ci allenava Luciano Breda. Quando mi dissero che ero stato convocato per sostituire il secondo portiere, era come se fossi stato convocato in nazionale. Poi mi fece esordire a sedici anni in seconda categoria mister Dall’Aglio, nella partita con il Corbola. Stagione 94-95. L’anno dopo dovevo andare a fare la juniores con la Fiessese, dove erano andati i miei compagni Patuzzo, Davì e Prearo. Avevamo già l’accordo ma il Polesella decise diversamente. Andai infatti a fare il secondo di Massimiano Zagatto, ma giocai molto bene la partita in casa con il Trecenta. Insieme a Massimiano, che era molto bravo a giocare fuori, ricordo vincemmo un torneo estivo a Pincara. Poi l’anno dopo ancora, in una stagione disgraziata, con tre allenatori (prima Spaolonzi, poi Samogizio e infine Breda) e con un portiere davanti com Francesco Targa feci una partita straordinaria con il Bottrighe in casa e mi meritai un encomio sul Gazzettino dove dissero che l’estremo Raito, con alcune parate davvero eccezionali, ha salvato il risultato. L’anno dopo ancora, in terza, bisognava ricostruire, ripartendo dal nulla. La società disse che avrebbe investito sui giovani e che sarei stato il portiere titolare, ma con l’arrivo di un allenatore ferrarese, Prendin, mi ritrovai riserva. Perdemmo le prime partite. A Fenil del Turco, sul 3-0 per noi, a due minuti dalla fine, mi rifiutai di scendere in campo quando il mister mi disse che era giunto il mio momento. Mi sentivo preso in giro. Quando l’altro portiere fu squalificato per alcune giornate, Prendin mi disse che nelle cinque giornate avrei dovuto dimostrargli che si sbagliava e che meritavo di giocare titolare. Risposi male, dicendogli che lui mi avrebbe visto solo una partita, perché l’avrebbero cacciato a casa, e così fu. Con Piantavigna fui titolare e autore di alcune discrete partite, ma poi anche lui venne rimosso, così chiudemmo non bene una stagione da dimenticare. Fu così che feci alcune stagioni negli amatori e nel 2004-2005, a venticinque anni e nel pieno della forma, fui convinto a far parte di una rosa ambiziosa che puntava a vincere il campionato di terza categoria, agli ordini di Lauro Marini. Feci tutta la preparazione pronto a giocare, ma la società preferì scommettere sull’esperienza di Mauro Zagatto e giocai solo un tempo nel girone d’andata. A dicembre ero in predicato di andare a fare il secondo a Crespino, in prima categoria, dove s’era infortunato il portiere titolare, ma le resistenze della società e un’occasione di lavoro che mi portò a Torino, fecero saltare tutto. In Piemonte giocai un campionato di calciotto, comportandomi bene, poi quando tornai a casa per un po’ fui convinto che la stagione del calcio, per me, era finita. Bene qualche partita a calcetto con gli amici, meglio la palestra, il nuoto e altro. Poi però, la passione che riaffiora, la chiamata dell’amico Omar Gregnanin, diventato nel frattempo giocatore-ds del San Vigilio e mi ritrovai, nel 2012-13 in prima categoria, come terzo portiere diventato poi secondo del mitico Beppe Cerilli. Agli ordini di Nino De Fazio, preparatore con i fiocchi, esordii in campionato contro il Ponte San Nicolò, con una grande parata. Poi a Taglio di Po venni ingiustamente espulso dalla panchina, senza aver detto o fatto nulla. La stagione, iniziata con mister Ricci Pezzolato, a cui poi subentrò Giammei, e poi Casilli, ci portò alla retrocessione. Così l’anno dopo tornai a Polesella, portando con me Omar e dando una mano a un gruppo che aveva prospettive, con giocatori come Sgardiolo, Guarnieri, Pavani, Gherman, Sabatino, Tabachin, Owusu. Avevamo davvero una buona squadra, che poteva togliersi qualche soddisfazione. Ma fu una stagione mai vista. Nel girone d’andata facemmo 14 punti in quindici partite. Al ritorno invece 16 nelle prime sette, portandoci vicinissimi alla zona playoff. Poi non vincemmo più. Un solo punto con i Blucerchiati non fu sufficiente per salvarci dalla lotteria dei playout. Perdemmo subito con la Turchese, in una partita maledetta, nata e finita malissimo. Battemmo il San Pio X (nella giornata in cui venivo eletto sindaco) e ci giocammo la partita decisiva in casa con i trevigiani del Grantorto, di sicuro più forti di noi, retrocedendo. Fu davvero un peccato. L’anno dopo rimasi a Polesella, in terza categoria, con un allenatore, Antonio Zampieri, che ricordo come uno dei migliori. Nonostante una squadra buona per la categoria, con un bomber come Toffano, una serie di problematiche, anche societarie, non ci permise di esprimerci al meglio. Io giocai comunque in coppa una bella partita con il Bosaro, e una in campionato contro lo Zona Marina, dove feci un paio di belle parate. Poi a Polesella non si fece più la squadra e mi trasferii di nuovo a San Vigilio, dove, partito come terzo portiere, mi ritrovai primo nel giro di poche giornate. In una situazione disperata, giocai undici partite, prima di trasferirmi, a dicembre, a Papozze, in prima categoria, dove allenava i portieri l’amico Nino De Fazio e dove affiancai Stoppa e Baratella, due buoni portieri. Fu salvezza agli spareggi, con Stefano Bergo, che aiutai come preparatore dei portieri dopo che Nino ebbe un problema di salute. Con Stefano nacque una bella amicizia e lo considero davvero un grande allenatore. L’anno successivo rimasi, con Casilli in panchina. Fu ancora spareggio, dopo una rincorsa lunga, ma non riuscimmo a battere il Conselve e retrocedemmo in seconda, un vero peccato. Quest’anno sono tornato a casa, a Polesella e già ho esordito in coppa, contro il Pontecchio.

Coi miei compagni sono sempre andato d’accordo e quando ho fatto il secondo portiere non ho mai creato problemi. Ho giocato con ottimi portieri e ottimi ragazzi come Targa, Cerilli, Zagatto, Stoppa. Mai avuto difficoltà a relazionarmi. Ho giocato a San Vigilio due anni, tra prima e seconda categoria e infine a Papozze, in prima, un ambiente sano fatto di grandi passioni ed entusiasmo. Spero di aver lasciato ovunque un buon ricordo. Non fosse stato per l’incidente di Taglio di Po, non avrei mai preso un cartellino né giallo né rosso. Ho sempre rispettato gli arbitri, anche se ne ho visti di alcuni che non conoscono il calcio, perché so che il loro ruolo è molto difficile e sono soli contro ventidue giocatori e contro il pubblico che spesso li bersaglia. Anche con gli avversari ho sempre cercato di mantenere buoni rapporti, mai una rissa, una litigata. Ritrovare alcuni dopo tanti anni sugli stessi campi, mi ha fatto specie. Oggi gioco con ragazzi che potrebbero essere miei figli. Il calcio è cambiato moltissimo. Il livello è molto basso, i ragazzi più giovani sono però più audaci. Una volta, quando entravi in uno spogliatoio ed eri il più giovane, ti muovevi con i piedi di piombo. Silenzio, testa bassa, occupavi il posto che restava libero. Non era una questione di paura, o di scarsa responsabilità, ma di rispetto. Uno spogliatoio era come una tribù con le sue regole, i suoi riti. Il capitano era il leader, la guida. Un po’ rimpiango quelle regole non scritte che regnavano, mi sembra quasi ci rendesse giovani migliori. Ma forse sbaglio, perché i tempi sono cambiati, e ogni tempo ha la sua storia. Ma tant’è. Meglio guardare avanti senza rimpiangere il passato. Però ricordo anche che, per un giovane che esordiva in prima squadra, lo spogliatoio era sacro, e così il sostegno al giovane era sacro per il gruppo. Entravi in campo e avevi davanti una difesa con Ghirello, Bertié, Ventura, Visconti, Salmaso, Pasquino, Magro e ti sentivi sicuro, protetto, difeso. Compreso anche se sbagliavi. Oggi tutti si sentono in diritto di mettere in discussione tutto, qualsiasi cosa.

Chiudo con un passaggio sui miei punti di riferimento sportivi. Juventino da sempre, non potevo che avere, tra i miei idoli, i portieri della Juve. All’inizio Tacconi, poi Peruzzi, che per il fisico tarchiato mi somigliava di più, ma aveva una esplosività incredibile. Infine Buffon, che è il più grande di tutti i tempi. Inarrivabile. Posso dire però che anche lo stile sgraziato di Garella mi ha insegnato l’importanza di saper parare con i piedi. Per venire più vicini a noi, ricordo che la passione per la Spal mi aveva fatto ammirare, tantissimo, Davide Torchia, il portiere della doppia promozione dalla C2 alla B. Aveva una sicurezza e una padronanza in area e della difesa che facevano paura.

Resto dell’avviso che il calcio sia il gioco più bello del mondo. Non ho pentimenti di nessun genere. Ho praticato e provo a praticare ancora questo sport perché mi piace tantissimo. Non sono un talento, ma mi appassiona ancora respirare il profumo dell’erba. Ed ecco qui, in sintesi, una pagina di ricordi. Spero possa valere anche come ricordo per qualche amico.